Sembra passato un secolo da quando, otto anni fa, scrissi un libro su Londra. Titolato La Nuova Londra (ed Garzanti) voleva essere una celebrazione di una capitale che si stava completamente rinnovando, crescendo a ritmi tumultuosi e affermandosi come la città più vibrante e cosmopolita del pianeta. Da allora, malgrado la tremenda recessione del 2008-9 di cui ancora non si vede la fine, la capitale britannica ha continuato a crescere in modo imperturbabile, assumendo le proporzioni di un gigantesco Leviatano che aspira energie dai quattro angoli del mondo e irradia influenza attorno a sé.
Quando scrissi il libro, da un ventennio era in atto un’impennata verticale dell’immigrazione, tanto che ormai un abitante su tre era nato all’estero. Tra i nuovi venuti, almeno cinquantamila provenienti dall’Italia portavano il totale dei nostri connazionali residenti nella capitale a oltre 100 mila persone, quanto la popolazione di Trento. Ma Londra cresce a ritmi frenetici e per la legge dei grandi numeri ha aggiunto in questi 8 anni quasi un milione di abitanti. Di questi, oltre 150mila si sono aggiunti dall’Italia, a causa di un vero e proprio esodo dal nostro Paese, al ritmo, secondo i dati del nostro Consolato generale di Londra, di circa 2mila persone al mese.
Ciò che è impressionante è che gli Italiani sbarcati nella capitale, contrariamente al passato, quando arrivavano selettivamente a ondate da diverse regioni e si riversavano in diversi settori dell’economia, in quest’ultimo decennio hanno coperto a tappeto tutte le caselle del mercato del lavoro e sono giunti da ogni angolo dello stivale, con una prevalenza, seppur lieve, del Nord, perché molti, per quanto relativamente benestanti e laureati, si trovano stretti in casa e vogliono misurarsi nel campionato globale del mercato del lavoro. Quanto più deve riempirci di orgoglio è il fatto che gli italiani si sono integrati molto bene e in molti casi hanno fatto carriera. In alcuni addirittura una carrierona. Ogni giorno che passa, dal tam tam della comunità italiana a Londra emergono nuovi nomi di persone in posizioni importanti in campi che nessuno avrebbe immaginato.
Dietro agli aridi numeri vi sono però una miriade di storie di vita vissuta che attendono di essere raccontate. Un compito erculeo, che il corrispondente a Londra di La Repubblica, Enrico Franceschini, ha saputo assolvere egregiamente con la leggerezza e l’ironia che lo hanno sempre contraddistinto come cronista dei fatti d’Oltremanica. Il libro di Franceschini, Londra Italia (edito da Laterza) narra in massima parte storie di successi, grandi e piccoli. Al di fuori dai nomi più noti anche al pubblico nostrano come la socialite Nancy dell’Olio, la scrittrice Simonetta Agnello Hornby (che ha peraltro recentemente scritto La mia Londra ed Giunti), o la giornalista e scrittrice Gaia Servadio, il fascino del libro di Franceschini sta negli emergenti, in massima parte giovani, che con determinazione si sono guadagnati un posto al sole nella società londinese. Franceschini ha acceso un riflettore su una legione di persone che merita di essere descritta e, perché no? celebrata.
Il catalogo è sterminato e le storie veramente interessanti, come lo sono tutte le storie di emigrazione che partono sempre da un aspetto avventuroso, dettato dalla curiosità per la vita e un certo gusto per il rischio. Franceschini ha compiuto un lavoro enciclopedico, compilando di prima mano un vero trattato di storia contemporanea degli italiani che si sono distinti a Londra in vari campi. Se ne citassi solo alcuni farei torto agli esclusi e se li citassi tutti comporrei un elenco telefonico che renderebbe questo blog illeggibile. L’unico luogo in cui possono essere riuniti è un libro e Franceschini lo ha fatto con grande maestria. Per questo motivo, consiglio a chiunque ami Londra di leggere questa opera che è frutto di ore e ore di lavoro e interviste di prima mano con un’infinità di persone, dai finanzieri ai ristoratori, passando per gli avvocati, gli architetti, gli scienziati, gli accademici, gli artisti, i giornalisti e i negozianti. Sono storie dense, di persone che continuano ad amare in grande parte il loro Paese ma che hanno scelto la strada del merito per cercare di raggiungere ciò che gli era negato a casa loro. Tutti amano Londra, ma non ciecamente e sanno bene senza illusioni quale è il loro posto al mondo, anche se ciò non li frena di ambire al miglioramento.
La Londra degli Italiani è ormai una città enorme, la quinta virtuale dopo Roma, Milano, Torino e Napoli, come rileva Franceschini, che si muove in modo tentacolare nella capitale che tutti accoglie ma che esige molto e spesso succhia ogni energia tra lavoro e continue opportunità che si offrono nel tempo libero. E’ una città per atleti e specialmente per “maratoneti a ostacoli”, una categoria che mi viene d’inventare perché oltre alla costanza nel duro lavoro è dotata della capacità di superare ostacoli e reinventarsi in continuazione, facendo surf tra le onde di una megalopoli in continua trasformazione.
Che faranno in futuro? In massima parte gli intervistati nel libro dicono che intendono restare a Londra per lavorare, anche se sanno bene che la qualità della vita in Italia è per certi versi migliore per vivere dolcemente. Tutti convengono sul fatto però che nessuna città italiana (e io aggiungerei al mondo) può offrire la varietà di svaghi e interessi di Londra. Risultato: in Italia si torna ancora volentieri in vacanza e forse, un giorno, in pensione. Gli Italiani di Londra hanno peraltro portato con sè il meglio dell’Italia e hanno imparato a essere positivi e fiduciosi nel futuro. Mentre girando per l’Italia si continuano a udire lamenti e lamentele, spesso ingiustificate, a Londra gli Italiani hanno innestato un’altra marcia e accettano la vita come viene lanciandosi sorridendo nella mischia. Questa è forse la migliore lezione che ha impartito la megalopoli britannica. E più che la professionalità un giorno, se alcuni torneranno, ciò che porteranno con se è proprio un mutato atteggiamento verso la vita.
Enrico Franceschini, Londra Italia, Laterza, 2016