Sono passati più di 7 anni dallo scoppio della bolla finanziaria che ha portato alla Grande Recessione e ancora non si vede la via d’uscita dall’Inferno in cui ci siamo cacciati. Gli USA, che hanno manifestato più di tutti i Paesi occidentali chiari segni di ripresa, si trovavano a fine 2014 con livelli occupazionali ancora al di sotto del 2007, anno precedente lo scoppio della crisi. La Gran Bretagna, il cui Pil ha superato lo scorso anno i livelli pre-crisi, ha ancora un Pil per capita assai inferiore, oltre a salari reali entro una forchetta inferiore del 6-8% rispetto al 2007. Quanto alla UE, la media del pil del 2014 si situava all’1% al di sotto del 2007 e ben al di sotto in termini per capita. La scellerata esplosione del credito privato nel decennio prima della crisi del 2008 ci ha lasciati insomma sotto una cappa plumbea, senza che ci siano chiari segnali di cambiamento. La crisi dell’economia cinese degli ultimi mesi, unita a quella di Russia e Brasile non ci fanno sperare in una ripresa dei cosiddetti Paesi emergenti nel breve-medio termine. Tutto ristagna.
Il debito, come scrive Adair Turner nel suo ultimo libro, Between Debt and the Devil, (Tra il Debito e il Diavolo) ha un’utile funzione per oliare i meccanismi dell’economia, ma può uscire rapidamente di controllo e rivelarsi estremamente tossico, specie se deriva dalla creazione di credito privato. Turner, che ha guidato la ormai defunta FSA (Financial Services Authority) il guardiano dei mercati finanziari britannici, tra il 2008 e il 2013, divenne famoso per avere dichiarato che < una parte dell’attività finanziaria prima della crisi è stata socialmente inutile > riferendosi in particolare a quello che va sotto il nome di shadow banking. A sette anni dalla crisi e dalla sua nomina al FSA (avvenuta il 20 settembre 2008, cinque giorni dopo il crack della Lehman) ha deciso di pubblicare le proprie riflessioni, assai preziose, considerando che vengono da chi si è trovato a combattere in prima linea durante una delle maggiori crisi finanziarie della storia. Una crisi che si è risolta in uno spostamento del debito dal settore privato a quello pubblico: negli Usa con il primo in calo a fine 2013 da 192% del Pil al 180% ma con il secondo in aumento dal 70 al 103%, in Gran Bretagna dal 215% a 195% ma col debito pubblico dal 40% al 90% e infine la Spagna, con un andamento assai simile agli inglesi, passata da 215% a 187% nel privato e dal 39% al 92% nel pubblico. In mancanza di crescita economica di inflazione che eroda la mole di debiti, questi rischiano di incombere come una cappa fetida ancora per anni.
Turner vede tra le cause della crisi un fallimento masiccio della teoria economica prevalente negli ultimi 20 anni. Secondo questa, una volta tenuta sotto controllo l’inflazione, i mercati avrebbero badato a se stessi, correggendosi. Inoltre, la crescente sofisticazione di nuovi strumenti finanziari e la loro complessità avrebbero reso il mercato sempre più solido. Questa fede liberista trasposta ai meccanismi di credito, secondo Turner, è stata una forma di manicheismo pari alla fede nei meccanismi dell’economia pianificata negli anni ’50. Secondo la massima parte degli economisti, ci trovavamo davanti a un periodo d’oro, definito da molti La Grande Moderazione: economisti come Robert Lucas, presidente dell’American Economic Association, dichiaravano nel 2003 che < il problema centrale di prevenzione di una depressione è stato risolto in tutti gli aspetti pratici e, tanto più, è stato risolto per molti decenni >. Lo stesso FMI nel 2006, alla vigilia della crisi spiegava in un dettagliato rapporto come l’innovazione finanziaria aveva reso il sistema finanziario più solido e stabile. Nel ventennio precedente la crisi, pochi economisti si erano dati la pena di studiare a fondo le interazioni tra economia e sistema bancario e finanziario. Un volta posto il tabù sul debito pubblico, quello privato si sarebbe corretto. In realtà, sia le banche sia tutto quel sistema finanziario che va sotto il nome di shadow banking, continuavano a sfornare crediti a ritmo forsennato, minando alla base il sistema finanziario. Il tabù sul debito pubblico, secondo Turner, ha poi inasprito la crisi, specie nella UE. Per uscire da un dramma di tali proporzioni, che si è tradotto nella peggiore recessione da 80 anni, è infatti necessario stimolare in qualche modo la domanda interna con iniezioni di danaro pubblico, stampando praticamente moneta come sta avvenendo con il quantitative easing negli USA e Gran Bretagna e, a suo avviso, con colpevole ritardo nella UE.
Sembra impossibile, ma la crisi che ci ha travolto, oltre ad essere stata generata da un’avidità irrefrenabile del settore finanziario, ha avuto la propria legittimazione in una leggerezza incredibile da parte del sistema, ossia del mondo dell’accademia e delle Banche centrali che dovevano alzare perlomeno la bandiera rossa del pericolo. Elisabetta, la regina, pose peraltro nel 2009, in piena crisi, la domanda che svrebbe posto ogni uomo della strada. In visita alla London School of Economics, tempio dell’accademia economica, disse: < Come mai nessuno ha visto arrivare la crisi? >. Mesi dopo, arrivò la risposta imbrazzata degli accademici: < si è trattato di un massiccio fallimento dell’immaginazione collettiva da parte di persone brillanti, sia in questo Paese si nel resto del nel mondo, nel capire i rischi posti al sistema nel suo insieme >.
Così, come rileva Turner, la gigantesca massa di credito privato che generava il mercato, invece di allocarsi in modo razionale in attività imprenditoriali che necessavano di fondi, è andata a finanziare attività già esistenti, in massima parte nel settore immobiliare urbano, alimentando una gigantesca bolla attraverso i mutui. Il danaro che doveva alimentare la sana crescita economica di un Paese, veniva in gran parte deviato su attività speculative che allo sviluppo dell’economia reale hanno contribuito poco e niente.
Quali le soluzioni? Turner, che è sempre stato della scuola liberale moderata, e non crede alla virtù di autocorrezione dei liberi mercati, auspica in futuro attività regolamentari o imposte volte a contenere la crescita sconsiderata del credito privato e d’altra parte il ricorso al danaro pubblico per disincagliare il sistema dalle secche in cui si trova, dato che nessun altro strumento può essere capace di farlo senza causare altri indesiderati effetti collaterali. E’ un fatto che con la crescita anemica che caratterizza gran parte dell’Occidente e data la massa di debiti che dobbiamo ancora smaltire, la via da percorrere fuori da questo tunnel infernale è ancora lunga e sofferta.
La copertina del libro la dice tutta: si vede Faust in colloquio con Mefistofele, emissario del diavolo, che tenta l’imperatore proponendogli di stampare moneta per aumentare il proprio potere e cancellare il debito pubblico. Il parallelo fatto nel settembre del 2012 da Jens Weiman, presidente della Bundesbank, ha come corollario un grande boom seguito dalla distruzione del sistema monetario. La lezione che dobbiamo trarre è che ogni debito, non solo pubblico, in dosi eccessive è tossico per il sistema. Come ci serve per affrontare il futuro anticipando gli investimenti, il debito può rovinarci il futuro, tarpando per anni la nostra iniziativa.
Adair Turner, Between Debt and The Devil, money, credit and fixing global finance, Princeton University Press.