Quella del Governo Cameron doveva essere un blitz. Ma la Camera dei Lord lo ha bloccato con un massiccio fuoco di sbarramento, creando un precedente costituzionale pericoloso oltre che politico dato che il Cancelliere George Osborne è uscito dallo scontro con le ossa rotte ed è stato costretto a un’umiliante retromarcia.
I Tories al potere avevano promesso nel loro manifesto elettorale 12 miliardi di sterline di tagli al budget del welfare, senza però specificare da dove i tagli sarebbero venuti. Detto fatto, si sono messi all’opera per attuare il piano con rapidità anche perché vogliono portare in pari il bilancio dello Stato entro 4 anni. Prima mossa del cancelliere George Osborne è stata quella di presentare al Parlamento tagli per 4,4 miliardi ai crediti d’imposta erogati a coloro che non hanno salari sufficienti per campare. Osborne sostiene che con la recente decisione di alzare sostanzialmente il salario minimo nei prossimi tre anni, lo Stato potrà essere messo in condizione di ridurre i sussidi.
In sè ragionevole, l’idea di fare pagare ai datori di lavoro tramite salari più alti e non allo Stato, in termini di sussidi, il benessere dei cittadini, si trova di difficile applicazione nella pratica. A detta di molti esperti, infatti, ci sarà un periodo transitorio durante il quale il taglio dei sussidi non verrà compensato dall’aumento dei salari, mettendo in gravi difficoltà almeno 3 milioni di famiglie che, secondo l’ Institute of Fiscal Studies, un think-tank di economia pubblica, si troverebbero mediamente con un buco di oltre mille sterline l’anno da dover colmare. Una cifra importante per chi si trova sull’orlo della sussistenza e conta le sterline una ad una per sopravvivere.
Osborne ha mostrato di avere fretta sul fronte dei tagli e di non avere alcuna intenzione di ascoltare il “grido di dolore” che si levava da varie parti della società e che è stato colto dai media, compresi quelli più conservatori. La sua cocciutaggine lo ha così messo in rotta di collisione con la camera dei Lord che, due giorni fa, ha stroncato la legge a netta maggioranza (289-272) chiedendo al Governo di ripensare i tempi di attuazione per non causare ingiustizie.
La mossa dei Lords ha provocato una crisi istituzionale nel rapporto tra le due Camere e allo stesso tempo una sconfitta politica per Osborne che si è trovato a dover abbassare le arie e promettere un ammorbidimento della proposta di legge. Sul fronte costituzionale era oltre un secolo, dai tempi del premier Lloyd George, che vigeva la consuetudine secondo cui la Camera alta, che non è eletta, non si occupava di temi di origine fiscale. Questa deroga è apparsa a Cameron come un raid da parte di una Camera con un forte numero di laburisti e liberal-democratici nominati nelle scorse legislature che lo hanno boicottato. Il premier ha ordinato una revisione con la massima urgenza dei rapporti con i Lords, che a suo avviso pendono troppo a sinistra. Ma a noi pare che quella dei Lord sia stata una presa di posizione di buon senso, così come lo fu ai tempi di Blair, quando il premier laburista allora in carica premeva sull’acceleratore di leggi eccezionali che limitavano la libertà dei cittadini per fare fronte del terrorismo. A volte, una Camera non eletta mostra di avere più a cuore l’interesse generale dei parlamentari eletti. In questo senso, in fondo, la Camera alta ha esercitato il suo potere di revisione delle leggi pienamente, considerando che comunque non ha il potere di avere l’ultima parola, che spetta ai Comuni ma solo quello di rallentare una decisione e modificarla. E ciò è quanto sta succedendo, a quanto pare, con un generale consenso dell’opinione pubblica.
Come ha detto la baronessa liberal-democratica che siede ai Lords, Joan Walmsley, in fondo è da stabilire se sono più rappresentativi del sentire comune i Lords o un Governo che è stato eletto con il 25% dei voti degli aventi diritto e gode di una risicata maggioranza di 12 voti alla Camera bassa.