Riuscirà davvero l’Italicum a dare più stabilità ai governi italiani? Per anni il nostro Paese ha inseguito un modello simile a quello britannico, che garantisse un premio di maggioranza al vincitore. Le leggi elettorali che ne sono uscite hanno avuto alterne fortune. Forse questa è la volta buona? Ma è proprio vero che un corsetto elettorale ben congegnato può da solo dare vita al miracolo della governabilità? A guardare quanto sta accadendo in Gran Bretagna, dove si profila inevitabile un nuovo Governo di coalizione, se non addirittura di minoranza, la risposta è no. La storia è semplice: sotto una certa soglia di consensi, non c’è legge elettorale che tenga: le coalizioni si profilano inevitabili e con esse si affaccia l’instabilità .
Con il 30% risicato dei voti, sia i laburisti che i conservatori non saranno infatti in grado di garantirsi da soli la maggioranza di Governo, alla faccia del premio elettorale. Abito in Gran Bretagna da oltre vent’anni e mi pare di essere tornato nell’Italia dei bei tempi. Giornali e pubblico continuano oziosamente a formulare ipotesi, ventilando le coalizioni più improbabili, mentre i costituzionalisti disseppelliscono precedenti che risalgono ai governi di minoranza di Ramsay McDonald e Harold Wilson. Mi sembrano passati anni luce da quando le elezioni parlamentari regolarmente si concludevano come un match di pugilato, con un vincitore e un vinto, tanto che i Governi venivano definiti dai critici come dittature elette. La stessa critica che viene ripetutamente indirizzata dai rivali al premier italiano.
Per gli inglesi, abituati a semplificare le cose, quanto sta accadendo è un rompicapo. Un Governo che si trovi costretto a negoziare continuamente la propria governabilità per loro è inconcepibile. E’ accaduto finora alla coalizione tra Conservatori e liberal-democratici , ma i primi hanno avuto abbastanza mano libera nelle loro politiche di austerità e i secondi, troppo mansueti, ci hanno infatti rimesso elettoralmente. Oggi si profila una situazione peggiore: il rischio è infatti che uno dei Paesi più stabili del mondo si trovi nel giro di pochi anni a mostrarsi come uno dei più instabili, in balia di forze centrifughe che ne minacciano addirittura l’unità. Per quanto l’Ukip di Nigel Farage riuscirà a mandare a Westminster solo un pugno di deputati esso costituisce ormai una costante spina ideologica nel fianco per i Conservatori di Cameron che si trovano costretti a fare la voce grossa con la UE per evitare di perdere consensi. Un appoggio di Farage rende un referendum sull’Europa inevitabile in tempi rapidi. I liberal-democratici di Nick Clegg, filoeuropei e progressisti, usciranno molto ridimensionati dalle prossime consultazioni, ottenendo circa metà dei precedenti consensi per essere stati troppo accomodanti negli anni di condominio. Saranno l’ago della bilancia al centro ma non al punto da poter garantire più una coalizione da soli. I laburisti di Ed Miliband hanno interesse a loro volta a corteggiare i liberal-democratici, ma saranno costretti a imbarcare altri alleati per governare. Il pensiero corre ai nazionalisti scozzesi del SNP guidati da Nicola Sturgeon. Questi hanno escluso chiaramente di allearsi con i tories e sono aperti a un’alleanza con il labour. Ma si tratta di alleati tanto potenti (potrebbero prendere quasi tutti i 59 seggi riservati alla Scozia a Westminster) e il loro appoggio, anche esterno, potrebbe costare caro a Miliband.
Il risultato che si profila non è dei più rassicuranti: se mai Cameron riuscisse a compiere l’acrobazia di formare un Governo, un rapporto più sofferto con l’Europa si profila inevitabile. Se mai fosse Miliband a entrare in scena con un appoggio più o meno aperto del SNP, la politica britannica prenderà una decisa piega a sinistra. Il SNP è infatti assai più a sinistra del labour che, dallo scoppio della crisi e dall’arrivo di Miliband alla guida del partito ha già virato chiaramente a sinistra. Il risultato finale, comunque vadano le cose, non si profila rassicurante. Un Paese che minaccia di uscire dall’Europa e che rischia una tormentato rapporto con la Scozia in caso governino i conservatori o, dall’altro, un Paese che virerà a sinistra tamponando la fuga dall’Europa (ma solo in modo temporaneo) ma comunque con un difficile rapporto con la Scozia è un Paese che faticherà a tenere la barra dritta. Non è un caso che, per la prima volta da alcuni decenni i mercati si sono messi a fare i conti sui fondamentali della Gran Bretagna e la sterlina si è indebolita. Le manchevolezze di un’economia in ripresa ma ancora con un’enorme massa di debiti e bassa produttività iniziano a essere esposte.
Finora la stabilità politica britannica ha coperto le magagne economiche. Per questo motivo in Italia Renzi ha cercato di percorrere il cammino all’inverso, convinto che la stabilità politica è la condizione necessaria per il successo economico. Ironia della sorte, proprio mentre l’Italia pare in qualche modo avere gettato l’ancora, la Gran Bretagna dà segni di non riuscire più a tenere gli ormeggi saldamente come in passato.