Altro che uscita del Regno Unito dall’Unione Europea! Il tema che sta togliendo il sonno a Downing Street da una paio di mesi a questa parte é ben più grave del duello di cartapesta tra Cameron e Juncker che ha ossessionato i media inglesi in giugno. Scoppiata l’estate e passato Wimbledon, gli inglesi hanno iniziato a mettere da parte le loro paranoie antieuropee e a prendere atto con realismo di un crescente e ben più grave rischio: quello della secessione della Scozia dal Regno Unito al referendum di settembre. 307 anni di unione all’interno di uno degli Stati nazione di maggiore successo d’Europa rischiano di disintegrarsi. Gli scozzesi, che hanno fornito con intelligenza e dedizione l’ossatura amministrativa di uno dei maggiori imperi della storia, potrebbero decidere di voltare le spalle a una joint-venture che ha finora funzionato con grande successo per guardare il proprio ombelico. Del tema, il Governo, da conversazioni che ho avuto negli ultimi mesi, é assai preoccupato. I sondaggi, per quanto ancora in favore dell’Unione, hanno infatti rivelato negli ultimi mesi una crescente popolarità degli argomenti nazionalisti portati avanti dal leader indipendentista scozzese Alex Salmond. A seconda dei dati degli istituti demoscopici, i consensi raccolti dai separatisti variano dal 42% al 47%. E’ un distacco netto dalla maggioranza, certamente, ma é la tipica distanza di quei pochi punti percentuali che in politica uno scatto finale può rovesciare, rimescolando completamente le carte.
The Economist, a due mesi dalla data fatale ha finalmente deciso di dedicare una copertina allo scottante tema. Il settimanale liberale, che ricorda peraltro di dovere la propria identità culturale a due grandi pensatori scozzesi come David Hume e Adam Smith, ha finalmente deciso di suonare il campanello di allarme. Con rigore e razionalismo caro agli empiristi caledoniani, il settimanale ha fatto subito appello al portafoglio dei cugini del nord dicendo che, mentre è difficile provare, come fanno i separatisti , che la secessione beneficierà di mille sterline a testa l’anno ogni scozzese, è molto più probabile che l’inseguimento del sogno secessionista possa risolversi, come affermano i detrattori, in un costo di oltre 1200 sterline a testa, considerando che il nuovo Paese dovrebbe badare alla propria difesa, creare nuove infrastrutture e istituire una nuova valuta, rischiando peraltro di restare in balia di una cultura statalista di sussidi che peserebbe enormemente sulle casse della neonata nazione per potere continuare a garantire tanti vantaggi come l’educazione universitaria gratuita e un welfare a tappeto molto più generoso di quello inglese. Il controllo sul proprio petrolio del mare del Nord che viene sbandierato come una sirena dai separatisti, rischia inoltre di trasformarsi in una chimera, dato che le risorse di idrocarburi sono in continua decrescita e non potranno sostenere una nuova nazione per tanti anni.
Salmond, che ho seguito passo a passo durante la campagna elettorale del 2007, è un uomo abilissimo. Completamente diverso da separatisti un po’ guasconi e aggressivi a cui siamo abituati a casa nostra, come l’Umberto Bossi dei primordi o Beppe Grillo o lo stesso inglese Nick Farage, eurofobo e nazionalista, il primo ministro scozzese in carica è un uomo soave e sorridente, equilibrato, competente, piacione e con ottimi collaboratori, come la vicepremier Nicola Sturgeon. Una vincente abbinata ittica, dato che i nomi dei due richiamano due pescioni del Nord: il salmone e lo storione. Salmond peraltro non perde mai la calma, sfodera sempre ottimismo e riesce a vendere la propria merce all’elettorato nel modo migliore. Gli elettori peraltro odiano i conservatori. Solo un deputato scozzese Tory siede al Parlamento di Westminster e 41 su 59 sono laburisti, i 17 restanti essendo nazionalisti. Gli scozzesi non hanno infatti mai perdonato alla Thatcher quell’ultra-liberismo che ha smantellato l’industria pesante scozzese, moltiplicando la disoccupazione e minacciato un welfare state che, a nord del Vallo Adriano, si ispira più al modello scandinavo che centro europeo.
Che accadra? Penso che alla fine gli scozzesi metteranno da parte le passioni, calando la mano dall’alto del cuore al basso del posteriore dove tengono il portafogli e voteranno per il mantenimento dell’Unione. Credo però che sarà una vittoria di misura e assai pericolosa. Vorrà infatti dire che, comunque vadano le cose, i rapporti tra scozzesi e inglesi cambieranno profondamente: gli scozzesi si faranno più esigenti e ricattatori, i 59 seggi che avranno a Westminster tramite i quali determinano la politica nazionale, staranno sempre più sul gozzo agli inglesi che invece non possono nulla al di là del Vallo dove un nuovo parlamento regionale permette da tempo agli scozzesi di votare parte delle proprie tasse in autonomia. Una concessione di ulteriore autonomia sarà peraltro inevitabile per tenere buoni gli scozzesi e questa potrebbe avere due sbocchi completamente diversi. Il primo ottimista, potrebbe essere il rientro delle tensioni, sulla scia del nostro modello dell’Alto Adige, dove i sudtirolesi hanno ottenuto privilegi che nessuna regione italiana si sogna. Il secondo però potrebbe essere una convivenza sempre più disagiata, che potrebbe soltanto rimandare i tempi della secessione. E, su questo fronte, Salmond attende tutti al varco: solido come un diesel e astuto come una volpe, potrebbe un giorno avere partita vinta.