Dai tempi della Torre di Babele, il sogno di ogni uomo è di comunicare con il prossimo in modo pieno, profondo e completo. Peccato che ci sia la barriera delle lingue, anche se l'inglese è ormai sempre più parlato. Le ultime stime variano tra 1 e 1,5 miliardi di persone, ormai allo stesso livello del cinese che, va detto, è molto più disomogeneo a causa dei dialetti (cantonese, mandarino ecc). Siamo comunque ancora lontani dall'unificazione linguistica degli oltre 6 miliardi di abitanti che popolano il pianeta.
E se la soluzione fosse in una lingua dei segni? Un concetto per segno sarebbe la soluzione vincente. Una lingua dei segni come quella adottata dai sordi. A prima vista sembra la scoperta dell'uovo di Colombo, ma la realtà è molto diversa, come è emerso da un affascinante incontro all'Istituto Italiano di Cultura di Londra presenziato da una studiosa come Virginia Volterra, un'autorità nel campo del linguaggio e in particolare di quello dei segni, e allietato da un documentario titolato Segna Con Me, realizzato da Silvia Bencivelli e Chiara Tarfano. Un film che squarcia un velo sulla realtà del mondo dei non udenti, sdrammatizzandolo e rendendolo accessibile. Prima osservazione: i sordi spessissimo parlano perchè, con enormi fatiche, hanno imparato a parlare e per ascoltare interagiscono con la gente normale leggendo i movimenti delle labbra. Ovviamente sanno comunicare anche con segni. Il limite è che la gente "normale" non reciproca dato che è in maggioranza pigra, compresi gli stessi parenti dei non udenti, e dunque non vuole imparare il linguaggio dei segni. Molto piu' semplice ascoltare gli sforzi altrui. I promotori della serata londinese hanno peraltro perorato la causa della lingua dei segni, sostenendo che deve essere riconosciuta ufficialmente con tutti i crismi. Per quanto ci riguarda, non possiamo che sottoscrivere. Nel mio piccolissimo so cosa vuol dire essere stritolati dalla forza delle maggioranze: sono mancino e il mondo è fatto per i destri, dalle forbici, alle maniglie delle porte passando per vari strumenti musicali ecc.
Cio' che ho scoperto però è che quella dei segni non è a propria volta una soluzione universale. All'incontro, a cui erano presenti numerosi sordi di "lingua" inglese e italiana, ci volevano due interpreti col pubblico, perchè ogni lingua ha i propri segni. Perbacco, verrebbe da dire, ma non si è sprecata un'occasione storica non creando un linguaggio dei segni comune? La risposta è che i segni, come le parole, evolvono entro un territorio, in un interrelazione ambientale che, nel tempo, ne forgia l'identità e la diversità. Ho trovato assai divertente partecipare a un incontro in una città cosmopolita dove si parlano oltre 100 lingue, trovandomi in una sala in cui in contemporanea mi sono mulinati davanti segni e suoni in diverse lingue. Il bello è che tutti ci capivamo.
Conclusione: con un po' di buona volontà, se volessimo realmente creare un esperanto universale, la lingua dei segni è certo il veicolo migliore, non solo per i sordi. Imparare una lingua dei segni (in qualsiasi versione nazionale) sarebbe per me assai piu' facile che mettermi a imparare l'arabo o il mandarino. L'unico svantaggio, rispetto alla voce, è che al buio non si comunica. Per il resto tutto si può. Dunque, per cominciare, speriamo che una lingua dei segni venga riconosciuta e facilitata per i non udenti. Poi, passo a passo, sarebbe buona cosa se altri la imparassero. Da qui a giungere a una lingua dei segni universale che affratellerebbe tutti, il passo temo sia ancora lunghissimo. Ma già il solo pensiero di una possibilità reale è estremamente stimolante.