Dalla crisi di Suez, che a metà degli anni Cinquanta ha decretato una volta per tutte la fine dei sogni imperiali, la politica di potenza della Gran Bretagna ha seguito una parabola irreversibilmente discendente. La forza di inerzia è stata però tenace e, fino alla guerra contro l'Iraq, gli inglesi hanno potuto continuare a giocare un importante ruolo di "spalla" degli americani. Ciò complice, fino all'inizio degli anni Duemila, il grande bluff di Tony Blair, che ha giocato alla mosca cocchiera prima con Clinton in Jugoslavia contro il cattivo Milosevic e poi con Bush in Afghanistan e Iraq rispettivamente contro i Talibani e Saddam, dopo una breve fortunata parentesi in solitario in Sierra Leone. Uno sforzo enorme, un'apnea sfiancante per rimanere gonfi come il rospo di Esopo, se pensiamo che in Iraq Blair mandò inizialmente ben 45mila soldati su un totale di poco più di 250mila addetti delle forze armate. Un'economia gonfiata dagli ormoni di un debito stratosferico e una spesa militare che è rimasta fino a 5 anni fa di gran lunga la più importante tra i Paesi europei hanno permesso al leone britannico di far ancora sentire, per quanto flebilmente, il proprio ruggito. Oggi, la grave crisi economica e i conseguenti tagli alla difesa, che porteranno le forze armate a meno di 90mila addetti entro pochi anni, a cui si aggiunge una sostanziale decapitazione dei mezzi di aria e di mare, non possono più nascondere l'amara realtà: la Gran Bretagna è a tutti gli effetti una media potenza e può al meglio giocare il ruolo di piccola gregaria degli Usa. Già da alcuni anni ha iniziato peraltro a unificare, in sordina, (per questione di orgoglio nazionale) molte funzioni con le forze francesi. Il che ha peraltro funzionato, a giudicare dall'efficace reazione dei franco-britannici in Libia che hanno accelerato la caduta del regime di Gheddafi.
Ma la Libia è la Libia, un paesello tribale che ha sofferto la tirannide di un buffone megalomane dai mille travestimenti e dalle mille paia di occhiali da sole, uno scherzo rispetto alle forze armate siriane di Assad. La Siria inoltre è il ganglio vitale, nel cortile dietro casa nostra, dello scontro sempre più accanito tra musulmani sciiti e sunniti, di cui pochi parlano per political correctness ma che sta creando bagni di sangue quotidiani dal Libano al Pakistan tra scontri diretti, attentati terroristici o guerre per interposta persona, che hanno come mandanti ultimi l'Iran per gli sciiti e l'Arabia Saudita per i sunniti. Cameron, ancora una volta, ha tentato in queste ore la carta americana, sollevando la questione morale delle armi chimiche per convincere l'opinione pubblica della necessità di un intervento, in puro stile Blair. Il meccanismo è quello di caricare di significato un'operazione che vede alla testa Obama con i propri missili cruise e in coda francesi e inglesi con i rispettivi petardi. Il costo apparente è basso e il ritorno morale garantito, con un avvertimento plateale ad Assad di non deragliare nell'uso della forza.
Cameron non ha però fatto i conti con l'opinione pubblica inglese, traumatizzata dall'Iraq e ipersensibile agli esiti incalcolabili che un acuirsi dello scontro in Siria provocherebbe, con un rischio di effetto domino nella regione, a partire dal Libano. I parlamentari britannici hanno dovuto ascoltare il forte e chiaro messaggio che proveniva dai loro collegi. Il campo laburista (che ha la coscienza sporca dai tempi di Blair) ha votato in massa contro, con l'appoggio di ben 40 ribelli, membri del Governo. La partita per ora è chiusa. Cameron, che è un buon tattico ma un pessimo stratega, ha dovuto così incassare una sconfitta umiliante, che potrebbe causargli un irreversibile danno politico. Ora a fare da spalla a Obama resta il francese Francois Hollande, che tenta di compensare con un avventurismo estero (come fece in Mali) tutta l'impotenza sul fronte interno, dove ha combinato poco o niente. Un'onta per gli inglesi, che ora si sentono scavalcati dai francesi nel rapporto speciale con Washington. Ma è veramente così importante fargliela pagare ad Assad? Sicuramente, se ha usato armi chimiche contro il proprio popolo è fondamentale che la comunità internazionale sventoli una bandiera rossa. Al di là della dubbia risposta militare c'è però un'altra arma: quella di fare ancora più a pezzi la reputazione di Assad, rendendolo un paria nel consesso internazionale. Una condanna terribile per un laico che ha studiato all'estero, tra cui la Gran Bretagna, la cui bella moglie Asma, britannico-siriana, sempre abbinata alla regina Rania di Giordania come volto affascinante e moderno del Medio Oriente, si trova ora dipinta come la consorte cinica di un boia sanguinario. Se mai ci fosse stato ancora un dubbio, agli occhi del mondo Assad non potrà più incarnare i panni di un laico modernizzatore. I riflettori sono sempre più puntati su di lui, con il rischio che nel caso persistesse con i propri metodi barbari, l'opinione pubblica che è sempre più volatile, potrebbe cambiare di umore e permettere un intervento in un tempo successivo. Al momento però i tempi non sono maturi, come ha provato il Parlamento britannico e qualsiasi azione presa da un Governo contro gli umori della propria opinione pubblica e senza un risultato chiaramente positivo rischia di causare un effetto boomerang. La gente in Occidente è peraltro stanca di immischiarsi in una guerra di religione tra musulmani che dura da trent'anni e tantomeno non vuole favorire una vittoria dei fanatici di Al Quaida, che pullulano tra le file degli oppositori di Assad. Quale è l'obiettivo ultimo che si vuole raggiungere? E se non se ne ha chiara l'idea, vale la pena di gettare nella fornace nuovamente una massa di soldi con il rischio che l'ingranaggio reclami molte altre vite umane?
Cameron ha dovuto inchinarsi a Westminster. Non accadeva a un Primo Ministro da fine '700. Ma, fino a prova contraria, per quanto il premier britannico sia molto potente, l'autorità del più vecchio Parlamento del mondo ieri notte è stata riaffermata. Dopo il disastro iracheno, la Camera dei Comuni ha deciso di mettere subito in chiaro il proprio umore. E' stata una mossa pensata e dibattuta, meno impulsiva del lancio "mirato" di qualche missile in Siria che, come i petardi di Capodanno, se cascano nel posto sbagliato, rischiano di innescare una gigantesca polveriera.