Una delle peggiori crisi finanziarie da un secolo a questa parte non poteva non danneggiare il maggiore centro finanziario del mondo. La City di Londra, la piazza più internazionale del pianeta, è in crisi di identità. Quel reattore nucleare che muove l'economia del Paese non può più girare come prima, dato che per anni la finanza mondiale attraverserà un periodo di quaresima. Non può però neppure rallentare troppo, dato che rischia di mettere a repentaglio tutta l'economia britannica. The Economist ha perfino dedicato la copertina dell'ultimo numero con il titolo allarmista Save The City. L'autorevole settimanale dice che è tempo di smettere di sparare su un centro di eccellenza non solo nazionale ma mondiale, il cui declino non farebbe bene a nessuno. Alla Gran Bretagna no di certo: con un'industria nazionale in continua riduzione, la City, che pesava fino al 2007 per quasi il 10% del Pil in termini di ricavi e il 3% del Pil in termini di surplus della bilancia commerciale dei servizi, è assolutamente necessaria. Nessun altro settore in questo momento è in grado di tappare il buco che si sta creando a causa della contrazione della finanza, che ha già perso il 7% della forza lavoro. The Economist dice che l'aumento della pressione fiscale inglese con l'aliquota massima al 50% voluta dai laburisti e confermata dai conservatori, la caccia all'untore contro i banchieri, gli attacchi recenti dello stesso Governo conservatore contro i bonus sproporzionati (si parla addirittura di passare una legge per limitarli dando potere agli azionisti), il giro di vite regolamentare che porterà alla separazione tra banche commerciali e d'affari e che potrebbe costare al settore l'equivalente di 5 miliardi di euro l'anno oltre alla chiusura all'immigrazione extraeuropea non aiutano il rilancio della piazza finanziaria londinese. A ciò si aggiunge lo spettro della Tobin Tax che agitano gli europei continentali e che per la City avrebbe effetti nefasti. Su questo fronte il premier David Cameron non avrebbe problemi perché può semplicemente opporre il proprio veto secondo gli statuti della Ue. Il rifiuto di sottoscrivere il recente vertice europeo perché contro l'interesse inglese va in effetti visto più come un'azione dimostrativa utile a tenere buona la destra dei conservatori, che di sostanza. Ma alla fine dei conti un fatto è certo. Londra non ha soluzioni alternative per lo sviluppo, ha una piazza finanziaria sofisticata e all'avanguardia e sarebbe suicida se le permettesse di spegnersi. Vari studi degli ultimi anni hanno peraltro provato che il mondo della finanza con le inesauribili esigenze di informazioni e relazioni per operare transazioni, fa da volano all'industria dei media e dell'informatica, come pure gli alti redditi dei banchieri beneficiano numerosi settori dell'economia del Paese che vanno dall'immobiliare alla ristorazione, alla moda passando per l'arte, la stessa letteratura e un'infinita serie di lavori ancillari. Il problema da risolvere in questo momento è però il seguente: quale dimensione deve avere la City per prosperare? Prima era troppo grande e ha rischiato di portare il paese alla rovina. Ma per vivere decorosamente e non farsi sopraffare da altri centri rivali deve restare globale e dunque non può neppure essere troppo piccola. In attesa che trovi la giusta taglia l'incertezza regna.
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