La profezia non è di un santone né di un ciarlatano né di un guru dei mercati ma di uno storico: Ian Morris. Morris è uno storico particolare, dato che studia i mega-megatrend e ha solide basi di archeologo che si è sporcato le mani sul terreno. In un ponderoso libro di 750 pagine, Why the West Rules (For Now) edito da Profile Books, Morris, che si è dato la pena di studiare l'umanità dalla fine dell'ultima glaciazione, nel 14.000 AC, a oggi, rileva che su sedici mila anni di storia, l'Occidente, per vari motivi geografici e climatici, ha mantenuto un vantaggio sull'Oriente per il 90% del tempo. L'area cinese ha sorpassato l'Occidente solo per un millennio, tra il 600 e il 1700 DC, fino a che la rivoluzione industriale ha permesso all'Ovest di rimettere le marce alte infliggendo agli orientali un nuovo stacco bruciante. Per la cronaca, Morris vede le cose molto in prospettiva anche sul piano geografico e nell'accezione di Ovest comprende l'area che va dalla Persia al Portogallo, comprendendo dunque tutte le grandi civiltà mediorientali, con un'appendice (discutibile a mio avviso) indiana, mentre per Est intende l'Estremo Oriente, ossia il mondo d'influenza cinese. Dopo tre secoli in ombra ora l'Est è in forte recupero e se il trend attuale si conferma, secondo Morris, la civiltà cinese dovrebbe appunto raggiungere tra novant'anni il tenore di vita americano.
A seconda dei diversi gradi di pessimismo che permea i vari studi, il sorpasso quantitativo del pil cinese su quello americano potrebbe avvenire tra il 2030 e il 2050. Ma perchè il benessere individuale dei due Paesi si equivalga ci vorrà molto più tempo. Anche perchè, se l'area Esremo orientale galoppa, la sfera occidentale continua comunque a trotterellare. Nel 2030 infatti i redditi individuali cinesi dovrebbero raggiungere i 19mila dollari a testa, ma alla stessa data, quelli americani sono proiettati a quota 59mila. Morris, citando lo studioso Robert Fogel, prevede che anche nell'ipotesi di un'accelerazione fortissima, con i redditi cinesi a 85mila dollari a testa nel 2040, quelli americani sarebbero sempre del 25% superiori, a quota 107mila. Ma hanno senso tutte queste distinzioni nel futuro? A meno di una tremenda pandemia che colpisca selettivamente una regione più di un'altra (anche se le pestilenze, fin dall'antichità, sono purtroppo globali) o peggio, un folle conflitto nucleare che farebbe calare la notte sul genere umano riportandolo indietro agli albori, secondo Morris, la globalizzazione e la rivoluzione digitale e biotecnologica stanno cambiando il paradigma della civiltà. Sarà dunque assai difficile parlare tra 50 anni di Est e Ovest come li abbiamo conosciuti dagli albori. Morris rileva d'altra parte che l'Ovest potrebbe comunque ritardare il sorpasso in virtù della nuova rivoluzione digitale e informatica che sta attraversando. Ma allo stesso tempo ci avviamo verso un mondo in cui la tecnologia diverrà parte integrante dell'umanità, con l'interazione sempre crescente tra persone, macchine e biotecnologie che "correggeranno" i difetti naturali proiettandoci verso l'uomo bionico. Se il progresso sociale lo si misura dunque secondo il parametro che Morris ha elaborato sulla base della capacità di creare e conservare energia, dall'era glaciale a oggi l'uomo ha accumulato 900 punti: nei prossimi 100 anni questi sono destinati a quadruplicare con l'aggiunta di altri 4 mila punti. In un contesto di così profondo rivolgimento globale ci troveremo forse davanti a una grande unica civiltà cosmopolita: Chimerica (Cina e America) e la famosa poesia di Rudyard Keeping "East is East and West is West and never the twain shall meet" non avrà più alcun senso.