Come la morfina all'uscita dalla sala operatoria per evitare al paziente lancinanti dolori, così montagne di debito emesse dai Governi occidentali per salvare il sitema finanziario hanno dato un senso di falso benessere a un sistema economico in grave crisi. Come ricordava recentemente l'economista finanziario George Magnus, uno dei pochi che hanno visto arrivare il crack bancario, le crisi vengono e poi vanno e spesso la gente si fascia ancora la testa mentre la ripresa è cominciata. Ma, rileva, questa ripresa che inizia a fare capolino, a differenza di quelle trascorse, si trova con un'eredità negativa certa: il gigantesco rimorchio di debiti che ci dovremo tirare dietro per i prossimi anni.
La medicina moderna, specie in chirurgia, fa miracoli e, sul fronte della terapia del dolore, abbiamo compiuto passi da gigante. Non bisogna dimenticare però che il dolore è un campanello d'allarme di cui il corpo umano dispone per segnalare una situazione di pericolo. Così in questa crisi, se avessimo lasciato dar corso alla "natura" del sistema economico, ci saremmo forse trovati in una tremenda depressione, con code di disoccupati davanti agli uffici di collocamento come durante gli anni '30. Stampando carta ce la siamo cavata, specie in Gran Bretagna, dove si rischiava grosso. Non dobbiamo però dimenticare che la titanica montagna di debito-sedativo a cui siamo sottoposti per non soffrire, si somma alla montagna prededente di debito-eccitante che abbiamo assunto in dosi da cavallo tra il 2002 e il 2007 quando credevamo di essere tutti milionari. Una gigantesca scorciatoia finanziaria per un Occidente che non era più in grado di produrre ricchiezza reale e stare al passo con i grandi Paesi emergenti come Cina e India. Da alcuni mesi abbiamo segnali sempre più visibili che ci mostrano che il peggio è passato. Germania e Francia sarebbero uscite dalla recessione. Gli Usa danno segnali misti ma iniziano a rientrare in carreggiata. L'Asia pare avere dato il via a un serio rimbalzo. Unica che pareva fino a pochi mesi fa messa meno peggio è la Gran Bretagna che quest'anno potrebbe toccare lo stesso fondale dell'Italia con una recessione superiore al 5%. Non a caso, recentemente, il Governatore della Banca d'Inghilterra, Mervyn King ha detto che in Gran Bretagna le cose vanno meno bene di quanto si pensasse e ha disposto che il tetto al quantitative easing (alla stampa di banconote in parole povere) passi da 125 a 175 miliardi di sterline. La domanda ora è: dato che prima o poi l'effetto dell'anestesia svanirà, che accadrà dopo? La risposta è: non possiamo riprendere a vivere in modo insostenibile come prima. Anche perchè ci tocca correre con la zavorra da smaltire del debito accumulato negli anni da cicale. Dobbiamo accrescere dunque la nostra produttività, pena una crescente emarginazione economica dell'Occidente. Lavorare di più, produrre di più e specialmente spremerci le meningi e innovare, sfruttando quel lieve vantaggio che abbiamo ancora nei confronti dei Paesi emergenti. Innovare nelle nanotecnologie, nelle biotecnologie, nella scienza in generale. Solo così potremo continuare a mantenere il nostro vantaggio. E, soprattutto, sfruttare e ampliare quel gran vantaggio culturale che l'Occidente ha ancora sul resto del mondo e di cui si accorge sempre meno: la democrazia, la trasparenza e la libertà d'espressione che sono il brodo primordiale in cui si riesce a innovare senza limiti. E, su questo fronte, mentre a Londra vedo un grande dinamismo e un Paese che fa largo ai giovani, anche se questi stanno soffrendo dalla crisi, in Italia mi preoccupo poichè vedo un Paese che diventa sempre più un gerontocomio, che divora i giovani tenendoli a mollo in un limbo irreale e ovattato e in cui ci si esprime sempre più a battute invece di affrontare i problemi discutendoli innanzitutto in articolati contradditori. Un Paese, quanto peggio, che si rinchiude in un provincialismo esiziale (per quanto per alcuni possano essere esilaranti le ultime trovate della Lega in difesa dei dialetti sono deprimenti) che è sordo a qualsiasi innesto esterno. Il che, in un mondo globalizzato, equivale al suicidio economico.