La vittoria di Obama in ticket con Joe Biden ha aperto uno squarcio di speranza in un mondo che dopo l’attacco alle torri gemelle l’11 settembre del 2001 da parte di Osama Bin Laden è entrato sotto George Bush in una fase tetra in politica estera, irresponsabile in economia e ora penitente e depresso dopo che la bolla del debito è scoppiata. Obama avrà davanti un’impresa erculea per risalire la china. Agli strumenti tecnici per rilanciare l’economia dovrà infatti abbinare una profonda trasformazione dei valori americani.
Valori sintetizzati in pochi numeri: ogni americano consuma mediamente ogni anno 25 barili di petrolio contro i 12 di un europeo e i 4 di un cinese. Se soltanto ogni americano consumasse come un europeo il mondo sarebbe diverso, con minori tensioni in politica estera e un’economia globale più equilibrata. In questo obiettivo aritmetico sta la trasformazine di un Paese che dovrà ricorrere più al dialogo e meno all’uso della forza, più al multilateralismo e meno all’unilateralismo, più alle politiche ambientali e all’austerità e meno al consumismo fine a se stesso. Come diceva recentemente Paolo Scaroni, Ceo dell’Eni in un incontro a Londra sul futuro dell’energia < in una società che d’estate sta in ufficio col golfino e in inverno con la T shirt c’è qualcosa che non va >. Su Obama in questi giorni si è scritto fin troppo, fino allo stordimento, a riprova che i media vomitano una massa di informazioni (buone e non) ormai inarrestabile. In questi casi comunque meglio troppo che poco. Meglio sapere ogni risvolto della vita e i pensieri dell’uomo che guiderà la massima potenza del mondo che avere le idee confuse. Obama prova infine che l’America, con tutti i difetti che le si possono addebitare, è il Paese al mondo che ha le maggiori capacità di rinnovamento. Fino al cambiamento rivoluzionario del 4 novembre. Materia di riflessione non solo in Europa dove i rappresentanti delle minoranze etniche hanno ancora molta strada da fare prima di essere parte della classe dirigente. Ma specialmente nel nostro Paese, sempre più vecchio e bloccato.