Due anni dopo il referendum la strada della Brexit è una palude

In vista del prossimo vertice UE, in cui ancora non si capisce bene cosa il Governo May andrà a proporre ai partner europei, è tempo di fare un bilancio. Domani sarà infatti il secondo anniversario del fatidico referendum del 23 giugno del 2016. Che dire? Guardare indietro non ci aiuta per nulla a capire cosa ci attende davanti. Come faceva notare in un interessante articolo James Blitz, giornalista del Financial Times, il sentimento del pubblico, infatti, non è sostanzialmente cambiato da quel giorno di inizio estate e se mai ci fosse un nuovo referendum, domani il risultato sarebbe nuovamente sul filo del rasoio, anche se questa volta forse registreremmo una risicata vittoria da parte dei remainers. Una vittoria di Pirro, dato che solo una netta vittoria dei remainers giustificherebbe i costi finanziari ed emotivi di una nuova consultazione popolare. Il Paese resta sostanzialmente spaccato a metà e, oltrettutto, il solco tra le due parti continua ad approfondirsi. I leavers sono determinati a vedere applicata la sovrana volontà del popolo, costi quel che costi, mentre i remainers cercano di aggrapparsi a qualsiasi pretesto per far deragliare o rallentare il processo, sempre più convinti che la Brexit causerebbe al Paese un danno irreparabile per almeno una generazione.

Dato che il Regno Unito fino al marzo del prossimo anno resterà nella UE e, comunque, successivamente dovrebbe godere di un regime transitorio di un paio d’anni, nessuno sa onestamente dire oggi quali siano veramente i danni che potrebbe causare la Brexit. Come pure non si possono provare i benefici. Ciò che è incontestabile, come fa notare Blitz, è che in questi due anni l’economia è peggiorata. La svalutazione del 12% della sterlina ha contribuito a molti rincari specie di beni primari, minando il tenore di vita delle classi medio basse, già fortemente indebitate. L’incertezza del futuro ha paralizzato il mondo del business, che ha smesso in parte di investire. E’ di oggi la minaccia di Airbus di fare le valigie e trasferire il proprio business produttivo fuori dal Regno Unito. Minaccia a cui ha fatto eco la tedesca BMW che nel Paese produce la Rolls Royce e la Mini. Una mossa che, se fosse confermata, avrebbe effetti devastanti poiché il colosso europeo dell’aerospaziale dà nel Paese lavoro diretto a 14mila persone e indiretto a 110mila, tra terzisti e fornitori, mentre Bmw ne impiega circa 8mila. Un campanello d’allarme che suona in un momento in cui gli effetti della rivoluzione di internet si stanno facendo sentire pesantemente sul mondo del retail, con crescenti tagli di personale nel settore. Proprio in queste ore la catena House of Fraser ha confermato 6mila licenziamenti su scala nazionale.  Personalmente, penso che i temi del commercio internazionale, per quanto importanti e minati da localismi e nazionalismi, siano stati eccessivamente enfatizzati e politicizzati, distogliendo l’attenzione da realtà dilaganti, come la robotizzazione e l’intelligenza artificiale, che porteranno a una falcidia di posti di lavoro, con violente reazioni sociali in agguato nel prossimo decennio. Un diavolo per ora tenuto nascosto dalle reazioni vetero-nazionaliste e populiste che offrono capri espiatori più facili da mostrare a un elettorato arrabbiato e disorientato.

La cosa certa è che la conflittualità, la confusione e l’angoscia creata dalla Brexit ha praticamente dissuaso, come fa notare Blitz, tutti gli altri Paesi europei a seguire la strada indicata dal Regno Unito. Questa finora ha portato a paralisi, confusione e conflittualità sociale: domani una marcia promossa dai remainers lungo il centro di Londra dovrebbe raccogliere l’adesione di migliaia di persone, tra cui numerosi europei che risiedono nella capitale e che finora si sono visti trattare come merce di scambio  nel braccio di ferro negoziale tra Bruxelles e Londra e sono rimasti sospesi tra cielo e terra in attesa di una definizione del loro status. Questa è giunta ieri con l’annuncio del Governo di una semplificazione delle procedure per ottenere la residenza permanente nel Regno Unito. Benché non si conoscano ancora molti dettagli, che verranno resi noti in un prossimo futuro. Al di là della situazione dei cittadini europei, dei soldi da pagare alla UE per il divorzio e della spinosa questione dei confini del Nord Irlanda con l’imposizione di una dogana, che rischia di riportare la discordia nella regione, tutti i temi relativi al futuro rapporto commerciale tra UE e Regno Unito attendono ancora risposta. Siamo in mezzo al guado di una palude. Intanto, possiamo tristemente constatare che, dopo i dazi di Donald Trump e le ritorsioni europee e cinesi, il clima commerciale mondiale è fortemente peggiorato e farà sentire i propri effetti negativi sul Regno Unito ben prima che la Brexit, se mai fosse, potrà esercitare i propri.