La crisi greca vista dagli inglesi e dagli italiani

Nella vita conta la percezione delle cose. Prendiamo il caso della crisi greca e del recente scontro tra il Ministro delle Finanze ellenico Yanis Varoufakis con i colleghi europei che hanno “perso la pazienza”, fino a spingere il premier Alexis Tsipras a sostituire Varoufakis come negoziatore (ma non come ministro, il che mi fa pensare al gioco delle tre tavolette).  Ebbene, l’articolo de Il Sole 24 Ore è stato commentato nelle chat rooms nel 90% dei casi con attestati di grande simpatia nei confronti dei greci e insulti verso i gelidi burocrati di Bruxelles colpevoli di ogni malefatta. Lo stesso giorno il pezzo apparso sul Financial Times britannico è stato corredato da critiche feroci dei lettori nei confronti dei greci. Il che non è equivalso a un attestato di simpatia verso le cancellerie europee (quando mai ce lo aspetteremmo?), ma le due cose sono rimaste distinte. Secondo gli italiani, i poveri greci sono vittime di un complotto di plutocrati europei cinici e irresponsabili, mentre la parola più ricorrente nella bocca degli inglesi verso i rappresentanti del Governo greco è stata quella di “buffoni”.

Strana la vita: se le cose si mettessero al peggio l’esposizione dei contribuenti inglesi  (che sono fuori dell’Eurozona) verso la Grecia è di 2 miliardi di euro (15 miliardi da aggiungere per le banche britanniche) in base alla loro quota dei 32 miliardi dovuti dai greci al FMI, mentre quella degli Italiani è di circa 37 miliardi. Egoisti e cinici, si direbbe, gli inglesi richiamano i greci all’ordine per cacciare degli spiccioli, mentre gli Italiani, generosi, se la prendono con forze astratte e cosmiche e lasciano passare un credito enorme. A proseguire in questa meschina contabilità, a guardare bene, se consideriamo il peso relativo del debito greco sul pil dei vari Paesi dell’Eurozona, a strillare di più dovrebbero essere i poveri sloveni, che hanno cacciato l’equivalente del 3% del loro pil, a parimerito con Malta, seguiti da Spagna e Italia (2,8%), seguite da Estonia e Slovacchia (2,7%) mentre la crudele Germania, che fa la voce più grossa, segue con un 2,5%, per quanto in termini assoluti sia il maggiore creditore con 60 miliardi. La Francia con 2,6% e 45 miliardi non ha da stare allegra.

Le fasi di benessere economico aiutano la magnanimità e la solidarietà, quelle di crisi, la meschineria e il nazionalismo. Si salvi chi può… Inevitabile che il progetto europeo, in profonda crisi, stia tirando fuori il peggio della gente e porti a quello che gli inglesi chiamano blame game, ossia il gioco delle accuse reciproche. Brutta cosa. Fa piacere che gli italiani si mostrino superiori a queste beghe da cortile, anche se il debito greco pesa per quasi mille euro sulle spalle di ogni nostro contribuente in età di lavoro..

Dovremmo criticare anche noi i greci, sparando sulla croce rossa, contro un Paese con una disoccupazione al 26%, con un’economia che si è contratta di un quarto e con centinaia di migliaia di persone sulla soglia della povertà solo perché ci devono tanti soldi? Sarebbe terribilmente ingiusto verso la popolazione. Devo però dire che, per dare a Cesare quel che è di Cesare, non posso non indirizzare una buona dose di critiche alla classe dirigente greca, che si è mostrata, da destra a sinistra, in politica ed economia la più irresponsabile d’Europa. Una classe politica che, durante gli anni d’oro dell’euro, quando l’economia nazionale cresceva a ritmo insostenibile, non ha fatto nulla per correggere i conti dello Stato, con un debito in continua ascesa verticale. Ha tenuto la popolazione nell’illusione di vivere nel Paese del Bengodi. E mentre ciò è comprensibile per molti Paesi in via di sviluppo, mi riesce difficile da capire nel caso di un Paese che da mezzo secolo manda la propria classe dirigente a studiare nelle migliori università del mondo.

La Grecia, come mi diceva ieri un esponente della City con un’espressione sintetica e azzeccata, “non ha un’economia”.  Yoghurt (anche se amici greci mi dicono che i maggiori produttori locali sono di origine pakistana, che mostrano più spirito imprenditoriale degli autoctoni) miele, olive, turismo e un artigianato povero, da negozi di souvenir. Niente artigianato serio, niente industria, moda, finanza, media, alimentare di qualità, nessun settore in cui siano competitivi. Eccetto, dimenticavo, il trasporto marittimo. Ma i megamiliardari armatori greci, esponenti dell’elite economica cosmopolita, sono immateriali da generazioni e contribuiscono quasi nulla alle entrate dello Stato dato che se ne stanno off-shore. In Italia si può essere critici quanto si vuole sui nostrani evasori o sfrontati capitalisti, ma è un fatto che sono reperibili, hanno impianti, immobili  e interessi in Italia e si prendono la loro dose di responsabilità. E intraprendono. Dall’altra parte dell’equazione economica greca una legione di costosi impiegati statali , tanta gente che vive di lavoretti e micro imprese sedute su un incerto mercato interno che non ottimizzano certamente le entrate del fisco, cercando di schivare il pagamento del dovuto alla comunità.

Come si è potuto in queste condizioni accettare che la Grecia facesse parte dell’Euro? Ottima domanda. Se è vero che i greci hanno avuto la colpa di truccare i conti per entrare nel club dell’euro, Bruxelles ha chiuso colpevolmente tutti e due gli occhi per aprire le porte. Ha poi accettato di ripianare i debiti a spese dei contribuenti europei, per evitare il male peggiore di un’uscita traumatica dall’euro, ha imposto un’austerità che sta facendo soffrire oltremodo la popolazione (come si fa, senza un’economia, a ripagare 340 miliardi di euro di debiti?) e ora è stizzita e disorientata.

Forse, inconsciamente, hanno ragione gli italiani, nel senso che siamo in balia di forze cosmiche. Ma non di un complotto, dato che tutti hanno le loro dosi di colpe. Va anche aggiunto che da alcuni anni l’economia greca iniziava a recuperare e ciò che serviva ai mercati era la rassicurazione che i greci si fossero messi sulla buona strada. Il debito avrebbe a quel punto essere riscadenzato in attesa di tempi migliori per tutti. Ma i tempi della politica non coincidono con quelli dell’economia e una ripresa si fa sentire molto dopo in termini di effetto benessere. I greci non ne potevano più e hanno messo al potere un gruppo di giovani duri, ideologicamente della vecchia scuola, che fanno fuoco e fiamme. Una consolazione morale per ottenere un senso di riscatto, ma con il rischio  ahimè di affidarsi a nuovi demagoghi. Costoro, giocando sul vittimismo, dai torti subiti dai tedeschi nel secondo conflitto al malefico impero ottomano prima ancora, non aiutano i greci a prendersi la loro parte di responsabilità e a rimboccarsi le maniche. Il che, indipendentemente dal fatto che la Grecia resti o esca dall’euro, è fondamentale perché il Paese possa riscattarsi e ripartire con le proprie forze.