City o non City? Questo è il problema

Turner2 Che la City abbia un'importanza cruciale per il successo dell'economia britannica è cosa nota. Che l'importanza sia eccessiva è da tempo argomento di dibattito. Nessuno avrebbe però potuto immaginare che a schierarsi in favore di una potatura delle sue attività "in eccesso" fosse lo stesso Lord Turner, presidente della Fsa, ente regolamentare dei mercati finanziari britannici. Secondo Turner la City è "gonfia" di attività superflue e ha bisogno di una dieta che la riporti con i piedi per terra, ridandole una giusta proporzione nell'economia del Paese. Che fare? Secondo Turner per scoraggiare la presa di rischi eccessivi vanno imposti a banche e finanziarie requisiti di capitale più alti. Se ciò non bastasse, ha detto candidamente di non scandalizzarsi se si dovesse introdurre una tassa sulle transazioni finanziarie. La dichiarazione ha fatto scalpore e attratto gli strali di banche e operatori che hanno subito soprannominato Turner con il nomignolo di Adair il Rosso.

Conosco personalmente Turner da dieci anni. E' un uomo brillante e una testa fine, tanto che ha avuto una carriera eccezionale: dalla Mc Kinsey alla direzione della Cbi, la confindustria britannica, passando per la guida della commissione di riforma delle pensioni, la vicepresidenza non esecutiva di due banche: di Merrill Lynch e Standard Chartered e infine, da poco meno di un anno, la guida della Fsa. C'è chi non esclude che in futuro non possa diventare Governatore della Banca d'Inghilterra quando scadrà il mandato di Mervyn King. E' un fatto che, se vinceranno i conservatori che vogliono miniaturizzare la Fsa e toglierle i poteri di vigilanza bancaria, Turner si troverà fortemente ridimensionato. Turner è un liberale nel senso vero della parola e per il New Labour di Tony Blair e in seguito di Gordon Brown (con cui ha avuto una fase di frizioni in passato)  è un'ottima autorevole sponda per "esternalizzare" temi e iniziative che il partito di Governo non vuole assumere in proprio. Da buon liberale Turner crede nel libero mercato ma è contro i suoi eccessi ed è convinto che uno Stato troppo leggero rischi di distruggere quella parte di servizi pubblici necessari per manterere la solidarietà sociale. Non sorprende dunque che nel corso di un forum agostano con la prestigiosa rivista Prospect abbia ventilato la possibilità di introdurre una Tobin tax, anche se si è subito affrettato ad aggiungere che imporla unilateralmente sarebbe un atto scellerato. Il sindaco Boris Johnson non ha apprezzato peraltro la sortita come pure molti grandees  (quelli che contano) della City. L'argomento principale di critica è che in un'economia di libero mercato nessuno dall'alto può stabilire quando un settore dell'economia è troppo grande o troppo piccolo. Turner pare invece abbracciare quella scuola che, colpita dallo scoppio della bolla, da tempo sta mettendo in guardia dallo sbilanciamento dell'economia britannica nei confronti della finanza. Ma è un fatto che molte alternative di cambiamento strutturale dell'economia  in questo momento non si vedono all'orizzonte. Mentre, paradossalmente, per quanto in modo timido, si iniziano a scorgere segnali positivi di ripresa dei servizi finanziari. I difensori della City ricordano che, peraltro, la cittadella ha una vocazione internazionale e non deve necessariamente mantenere le proporzioni con il Paese. Anzi, se così fosse la Gran Bretagna tornerebbe al modesto livello degli anni '80 con l'aggravante di non avere un settore meccanico, chimico, elettronico e manifatturiero forte come 20 anni fa. Ha senso dunque ammazzare la gallina dalle uova d'oro senza proporre alternative concrete? Certo che no. Anche perché la vecchia City ha ancora molti vantaggi in termini di competenze e cosmopolitismo che altre parti del mondo non hanno. Competenze che Turner ha riconosciuto. Peraltro non si sono avverati, come molti prevedevano, miracolosi boom di centri alternativi. Dubai è in cattive acque per la crisi immobiliare e l'eccesso di debiti, Singapore è in recessione e la Svizzera si trova con le banche in pessima salute e una pericolosa diatriba fiscale con gli Stati Uniti. La City ha sofferto ma è tutt'altro che morta e, nel dubbio, forse non conviene gravarla di carichi eccessivi nel momento in cui lentamente inizia a rimettersi in moto. 

  • Andrea |

    Dott. Niada,
    mi trovo d’accordo con lei su quasi tutto tranne che su un dettagliolei afferma che non si sono creati centri alternativi a Londra. Mi permetta di dissentire. E’ vero che Dubai non ha avuto successo e le ragioni sono molte: crisi immobiliare e eccesso di debiti come lei affermava, ma anche e soprattutto per il fatto che non e’ una destinazione attraente per vivere, sicuaramente una piacevole meta turistica, ma assolutamente non in grado di offrire quelle attivita’ alternative che si possono trovare in Londra, New York, Hong Kong etc..
    Riguardo a Singapore, affermare che non sia un centro finanziario mi sembra molto riduttivo e sembra il parere di una persona che non ci e’ mai stata: vorrei farle notare che, dati alla mano, che la crescita reale del PIL nei preimi due trimestri e’ stata, si negativa nel trimestre fino a fine marzo (-12.2% QoQ annualizzata) ma ha mostrato una crescita annualizzata del 20.7% nel secondo quadrimestre. Non la definirei proprio recessione, non crede?
    Oltrettutto a Sinagpore numerosi Hedge Fund, Private Equity hanno aperto i loro uffici. E non dimentichiamo che per la maggior parte delle banche i licenziamenti sono stati davvero minimi. L’unico settore che ha conosciuto la crisi, e’ stato quello immobiliare, ma anche questo e’ gia’ tornato a livelli precedenti se non superiori a quelli pre-crisi.
    A mio modesto giudizio Singapore e` un centro finanziario internazionale, al pari con Londra, e se quest’ultima e’ principalmente orientata sull’Europa, Singapore lo e` per tutta l’Asia e Oceania (la maggior parte degli stranieri preferisce Singapore a Hong Kong o Shangai per le basse tasse e l’alta qualita` della vita).
    Cortesemente.
    Andrea

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