La crisi d’identità del capitalismo anglosassone

Gi inglesi sono pragmatici. E raramente capita sentirli parlare di grandi teorie sociali e di astrazioni filosofiche. In questi tempi folli in cui viviamo tutto pare però possibile, anche un duello tra il leader dell’opposizione e quello di Governo su temi impegnativi come Capitalismo e Socialismo. La prima bordata l’ha tirata il leader laburista Jeremy Corbyn, parlando due giorni fa alla Conferenza del partito di < crisi di legittimità del sistema capitalista > dopo la grande crisi del 2008 e la necessità di un < nuovo socialismo per il XXI Secolo >. La risposta non si è fatta attendere e l’indomani Theresa May è scesa in campo in difesa del capitalismo affermando, durante la commemorazione del ventesimo anniversario dell’indipendenza della Bank of England, che  < l’economia di mercato è stato il più grande fattore di progresso che l’umanità abbia creato >, capace di salvare dalla povertà miliardi di persone.

Visto così lo scambio pare assai superficiale e laconico. Dato però che siamo nel Regno Unito, viene da domandarsi come mai, invece di mantenere il livello del discorso sui temi concreti delle riforme economiche, i due leader politici si siano abbandonati a uno scontro sui massimi sistemi. La ragione è semplice: il capitalismo nella versione iper-finanziarizzata anglosassone, in voga a cavallo tra l’ultimo decennio dello sorso secolo e il primo di quello nuovo, ha veramente fallito. Corbyn non ha torto. La società britannica, come quella americana, è polarizzata e in crisi di identità, con una distribuzione ineguale della ricchezza senza precedenti e le classi basse con una qualità della vita e un livello sanitario ai livelli più scadenti. C’è un forte senso di frustrazione che qualcosa non sia andato bene, anche se non se ne parla apertamente, ma il disagio è palpabile. La finanza è messa alla gogna, come in altri Paesi occidentali, accusata, a volte eccessivamente, di ogni nefandezza. Ma al di là di ciò, è difficile assistere a dibattiti sulla necessità di un nuovo modello di sviluppo.

Il disagio e il senso di inadeguatezza portano a una profonda inquietudine che alimenta il populismo e, nel caso dell’America, un neo protezionismo spesso ottuso, nella versione di Donald Trump. Così, i due Paesi paladini del libero mercato, gli USA e il Regno Unito, sono diventati oggi paradossalmente i più retrogradi, rigidi contro l’immigrazione e protezionisti nel caso americano. Il protezionismo gli inglesi non possono permetterselo, dato che importano una gran quantità di beni e hanno ormai ben poco da proteggere sul piano industriale. Ciò che colpisce però è che, al di là del populismo dell’UKIP, che ricalca altri populismi in Occidente, il Regno Unito si trovi ora a differenza con il resto dell’Europa, con un partito socialista in piena regola, che parla di nazionalizzazioni, di crescita del settore pubblico, di controlli amministrativi sugli affitti delle case, di tasse sulla terra, di abolizione delle rette universitarie, di forte aumento delle tasse sulle imprese, di controlli sulla robotizzazione dell’industria. Dopo l’esperimento di Tony Blair, che per un decennio era parso temperare il Thatcherismo più spietato in una formula che aveva portato benessere a tutto il Paese, gli inglesi post-crisi si sono scoperti poveri, frustrati e in cerca disperata di modelli, fino a tornare ad accarezzare il vecchio socialismo.

La verità è che in questo periodo di crisi di identità, tutti sono smarriti e cercano di aggrapparsi a modelli desueti. Forse sarebbe più semplice prendere atto che di capitalismi ce ne sono tanti e che il modello tedesco o, meglio ancora quello scandinavo, in questi anni di crisi, non se la sono cavata male per nulla. E’ che l’economia è una scienza umana, fortemente legata alla cultura e agli umori. Difficile immaginare inglesi e americani abbracciare un modello ad alta tassazione come quello scandinavo, con poco margine di manovra lasciato all’individuo e ampie responsabilità in mano alla collettività. Il fatto è che nei due Paesi il pendolo si era spostato troppo sul liberismo, l’individualismo e il darwinismo, creando forti scompensi sociali che hanno bisogno di tempo per essere rimarginati. Non è un caso che nei prossimi giorni Theresa May, alla conferenza del proprio partito, certamente reitererà la necessità di un capitalismo temperato dallo Stato come arbitro indispensabile a una convivenza civile. La Thatcher e i suoi accoliti verranno messi definitivamente in naftalina. Come in un gioco dell’oca, si torna indietro di 40 anni, con un partito conservatore moderato sui temi sociali e uno laburista sempre più rosso.  Chissà se negli USA una nuova sinistra, che si era manifestata con Bernie Sanders, non torni in scena con maggiore vigore, specie se Trump finisse per virare troppo a destra sul piano sociale e il suo populismo sempre più screditato finisse per perdere mordente tra le classi più deboli che lo hanno votato.