Quando il bonus è…”anti-capitalista”

Nato per introdurre un elemento di imprenditorialità, riconoscendo la performance e il rischio preso da manager e banchieri, il bonus rischia di diventare un vergognoso strumento per premiare i dirigenti indipendentemente daI risultati. Nella City infuria una polemica dopo che le maggiori banche americane hanno aumentato del 10% a 66 miliardi di dollari il monte-retribuzioni, di cui 40 miliardi in bonus, in un anno in cui gli istituti hanno contabilizzato perdite enormi a causa della crisi dei subprime.   

Se un banchiere o un manager volessero veramente "giocare all’imprenditore" dovrebbero essere pronti a rispondere di tasca propria negli anni magri, rendendo, in caso di perdite, del danaro nella stessa proporzione in cui ne ha guadagnato in proporzione ai guadagni. Almeno per ciò che riguarda la parte variabile della loro retribuzione. Le banche hanno dovuto finora contabilizzare enormi oneri straordinari. I nostri banchieri hanno comunque un salario fisso, tra 300 e 500mila dollari l’anno, a cui si aggiungono bonus che possono facilmente decuplicare la retribuzione di base. Quando le cose vanno bene vengono miracolati dai bonus, quando vanno male, a differenza dell’imprenditore puro, hanno comunque un ricco stipendio. Che in realtà è sempre più dello stipendio base, dato che i banchieri sono spesso assunti con "bonus garantiti" per un paio d’anni. Questa situazione di privilegio rasenta lo scandalo quando i bonus milionari vengono guadagnati negli anni difficili per l’azienda, come sta accadendo quest’anno. Una risposta che viene data dagli interessati è che le perdite delle banche sono avvenute in settori limitati a una certa categoria di banchieri e che i bonus riconoscono il buon lavoro svolto da altri. Ciò non tiene però conto del fatto che tutti lavorano per la stessa banca e che se alcuni fanno male devono risponderne tutti dato che sono tutti sulla stessa barca. E’ ciò che (era ora) sostiene John Thain, da poco giunto alla guida di Merrill Lynch, la banca d’affari di Wall Street che tra l’altro in questi mesi ha dovuto contabilizzare crescenti predite sui mutui subprime.

Al di là dei tecnicismi, va peraltro rilevato, come faceva notare Hugo Dixon sul sito finanziario Breakingnews.com che questa situazione malsana sta portando a due grandi rischi: da un lato viene data l’impressione che convenga fare il banchiere d’affari perchè è una pacchia e ciò continua a drenare i migliori talenti da altre professioni altrettanto dignitose e forse più dignitose in quanto a comportamenti. Inoltre, un sistema che non prevede un costo per i top manager li incoraggia a prendere sempre più rischi alla leggera. Privatizzando i profitti e socializzando le perdite. Con il rischio di una recessione alle porte non è proprio aria ed è il momento che i nostri rutilanti banchieri d’affari si guardino attorno e facciano i conti con la realtà che li circonda.